di Franca Gallotta
Il termine violenza deriva dal latino violentus, la radice “vis” significa forza mentre “ulentus” si riferisce all’eccesso, quindi perché ci sia violenza è necessaria l’intenzionalità dell’atto, di forza e di eccesso.
Diverse sono le forme di violenza. Esiste la violenza auto-inflitta rivolta verso se stessi, come i comportamenti di autolesionismo e di tipo suicidario; la violenza interpersonale che a sua volta si divide in due sottogruppi: la violenza domestica, tra familiari, all’interno delle quattro mura; la violenza di comunità, tra persone che non appartengono alla stessa famiglia e che possono o no conoscersi.
Infine abbiamo la violenza collettiva perpetuata da un gruppo di persone o tra un gruppo di persone, come ad esempio: le guerre, i colpi di Stato, il terrorismo, ecc.
Quattro sono i modi in cui la violenza può essere esercitata: fisica, sessuale, psicologica e l’incuria. La violenza fisica è molto più facile da riconoscere, è oggettiva e lascia danni visibili sui corpi delle donne offese. Ma non tutte le relazioni violente comportano maltrattamenti fisici. In realtà esiste una forma di violenza molto più subdola ma altrettanto grave , la violenza psicologica.
Quando parliamo di violenza psicologica ci riferiamo a tutte quelle parole e atti utilizzati contro le volontà di un altra persona. Uno strumento di coercizione e oppressione, parole urlate, insulti, denigrazione, svalutazione, intimidazioni, minacce di violenza fisica, di pericolose ripercussioni e di umiliazioni continue.
La violenza domestica è sia fisica, economica, psicologica e sessuale.
Tre sono le fasi della violenza di genere:
- la prima fase, di solito, inizia con un insulto, un offesa, una violenza verbale, all’interno della relazione cresce la tensione. L’uomo violento è arrabbiato, nervoso, irritato. Tutto questo crea confusione nella donna che inizia ad aver paura di essere abbandonata, a evitare il conflitto, ad assecondare il compagno;
- la seconda fase, è la fase in cui esplode la violenza;
- la terza fase, è la fase della riappacificazione, l’uomo è pentito, promette di non farlo più e alla fine viene perdonato. Mano mano che gli episodi di violenza si ripetono la distanza, tra la riappacificazione e la nuova lite, diventa sempre più corta. Il ripetersi ciclico di questa dinamica rinforza la dipendenza della donna. Più l’uomo prende potere più la donna rimane legata e bloccata, in quest’amore malato.
L’autostima delle donne che subiscono violenza è sempre sotto attacco. Nel tempo questi continui attacchi minano il loro senso di identità, la loro autostima e la loro dignità. Spesso arrivano a pensare che “senza il marito, non esistono e che non ce la possono fare da sole” in realtà “una relazione di coppia sana, si basa su un elemento fondamentale di partenza, ossia, l’essere formata da due individui autonomi capaci di stare in piedi da soli. In grado di costruire una successiva e diversa complementarietà che comprende anche l’alternanza dei ruoli e la non determinazione di ruoli in quanto tali”.
La negazione, la minimizzazione, la razionalizzazione e la giustificazione dell’atto violento sono i meccanismi di difesa che vengono utilizzati per paura di affrontare la realtà e tutto quello che ne consegue. Allo stesso tempo questi meccanismi mantengono vivo il ciclo di violenza con la conseguenza di sviluppare gravi disturbi depressivi.
Oggi il Consiglio Nazionale dell’ordine degli Psicologi ha deciso di ospitare un momento di confronto tra psicologi ed esperti del tema. Riporto le parole che hanno condiviso con noi. L’incontro è stato condotto dalla Prof.ssa Angela Quaquero
Secondo il Presidente del Cnop, David Lazzari, la psicologia non può restare invisibile su queste tematiche. La competenza psicologica è necessaria, per prevenire, per ascoltare, per rispondere, per curare e per aiutare in tutte le forme possibili e opportune. Oggi in Italia sempre più psicologi si formano e sono interessati a formarsi su tali tematiche. Il tema violenza e il tema psicologia, si intrecciano in maniera molto significativa. Le forme di violenza nascono da pregiudizi, da errori, da visioni culturali e psicologiche sbagliate, anche ma non necessariamente, da disagi psicologici non curati che possono poi, degenerare in situazioni di violenza.
La Prof.ssa Elisabetta Camussi, componente del Comitato delle pari opportunità del Cnop, ci parla di come l’aspetto economico ha un peso rilevante nella violenza. La violenza economica, toglie la libertà, toglie la sicurezza, toglie il senso di sé e la libertà di scelta. Il ruolo delle donne nel mondo del lavoro, è un aspetto molto importante per tante ragioni. Nei paesi dove le donne lavorano, oltre ad un prodotto interno lordo più elevato, c’è un indice maggiore di parità di genere e si sperimenta un miglior benessere individuale e collettivo. Quindi il lavoro delle donne oltre a servire alle donne, serve alla collettività. Inoltre l’autonomia economica è uno degli aspetti protettivi, rispetto al rischio di trovarsi coinvolti in una situazione di violenza di genere.
La direttrice centrale dell’Istat, la Dott.ssa Linda Laura Sabatini parla di dati allarmanti e drammatici, dati che provengono dai fascicoli dei femminicidi che sono avvenuti dal 2017 al 2018. Inoltre sono stati scelti quei casi di omicidio in cui c’è un espressione di volontà, di dominio e di possesso da parte dell’uomo sulla donna. Da tali dati emerge che sono fondamentalmente strutturali ossia, non c’è nel tempo una dinamica in aumento o in diminuzione. Sono trasversali, avvengono ovunque, nei piccoli e nei grandi comuni, da nord a sud senza nessuna differenza. Avvengono a tutte l’età, donne giovani, adulte e anziane. Invece per quanto riguarda la comunità di appartenenza, le donne straniere sono quelle che più vengono uccise. Tali reati sono spesso commessi dai loro connazionali, infatti spesso questi femminicidi avvengono all’interno della stessa comunità, proprio perché nel 57% dei casi avvengono nella coppia. Il 12,7% avviene per le mani di un ex. Il 9% sono i figli che uccidono le madri. Il 4,9% i padri che uccidono i figli, poi ci sono gli altri parenti, i clienti delle prostitute e gli spacciatori. Nel 34% dei casi l’autore dell’omicidio si suicida subito dopo il femminicidio. In due anni questi femminicidi hanno creato 169 orfani, 1/3 di questi orfani hanno perso, anche il padre, che si è suicidato subito dopo. Molti di questi bambini, hanno assistito al femminicidio o hanno trovato il corpo della madre, anche quando non hanno assistito sono stati comunque testimoni continui delle violenze perpetrate in famiglia.
Infine i dati più allarmanti sono: il 63% delle donne uccise, non avevano parlato mai con nessuno delle violenze che stavano vivendo. Solo il 15% aveva denunciato e nei centri antiviolenza si rivolgono solo il 2,5% di donne. Le denunce sono molto poche però, è anche vero, che quando ci sono, sono tante. In altre parole, una stessa donna ne fa più di una, questo sta a significare che la situazione di violenza che la donna sta vivendo, sta peggiorando e questo dovrebbe essere un dato importante, un segnale di attenzione per le autorità, la distanza media tra la prima denuncia e il femminicidio è di due anni e quattro mesi. L’80% delle donne che hanno denunciato, aveva dichiarato di avere paura per la propria vita e per quella dei propri figli.
Questo sta a dimostrare vista la percentuale così alta, che le donne non esagerano quando parlano di violenza, vanno credute.
L’incontro viene concluso dalla Prof.ssa Caterina Arcidiacono che ci parla della vittimizzazione secondaria e della violenza istituzionale, e incoraggia le istituzioni a collaborare con gli psicologi e viceversa, a promuovere e diffondere conoscenza, per combattere uniti un fenomeno sempre più grave.
Oggi è attivo e quindi possibile per tutte le vittime di violenza e stalking chiamare il 1522. Un numero gratuito 24 ore su 24